Gerusalemme e l’Unesco
L’Italia come Pilato

«Un voto allucinante». Non ha usato mezze parole Matteo Renzi per bollare la decisione della delegazione italiana all’ Unesco di astenersi su una risoluzione riguardante «l’ importanza della Città Vecchia e delle sue mura per le tre (principali) religioni monoteiste». Una Risoluzione pesantemente polemica con Israele, definita nel testo «potenza occupante», in cui viene soprattutto dimenticato il rapporto fra gli ebrei e il principale complesso religioso di Gerusalemme, la «Spianata delle moschee».

È un luogo considerato sacro sia dai musulmani sia dagli ebrei e che in tutto il documento viene invece chiamato esclusivamente col suo nome islamico, «Al Ḥaram Al Sharif». Invece quel luogo anche per gli ebrei ha un nome, si chiama «Har HaBayit»: letteralmente «il monte della casa [di Dio]». Per questa ragione che in inglese è diventato poi Temple Mount, «il monte del tempio»: qui infatti sorgeva il Tempio di Gerusalemme, distrutto dai romani nel 70 dopo Cristo, edificio di cui resta oggi solo il grande muro occidentale, celebre come Muro del Pianto. Obiettivo della Risoluzione dell’ agenzia Onu che si occupa di educazione e di cultura, è quello di richiamare Israele agli accordi siglati dopo la Guerra del 1967, che garantiscono agli ebrei la possibilità di visitare la Spianata ma non di pregare e riserva invece ai musulmani questo diritto.

Tra l’ altro quegli accordi stabiliscono che l’ esclusiva autorità sulla Moschea di Al Aqsa e sulla Spianata dell’ Haram al Sharif spetta al dipartimento per gli affari religiosi giordano, il Waqf. Le pesanti restrizioni imposte da Israele per l’ accesso alla Spianata sono invece duramente contestate dai Palestinesi e sono alla radice dell’ ondata di violenze che ha insanguinato nell’ ultimo anno il Paese. È stata infatti proprio la Palestina, che fa parte ufficialmente dell’ Unesco (mentre è semplicemente osservatore permanente all’ Onu), a proporre la Risoluzione che è stata approvata con 24 voti favorevoli, sei contrari (Usa, Germania, Gran Bretagna, Estonia, Lituania e Olanda) e 26 astenuti, tra i quali appunto l’ Italia. Risoluzioni di questo tipo chiamano allo schieramento: o stai di qui o stai di là. E quindi astenersi può esser sembrato un modo per evitare lo scontro con una delle due parti.

In realtà lo scontro non è stato evitato perché oltre ai contenuti contano le parole. E la Risoluzione dell’ Unesco, se dal punto di vista dei contenuti andava a toccare, in modo certamente di parte, questioni reali, dal punto di vista dell’ uso delle terminologie ha cercato la provocazione ed è stata offensiva contro Israele, negando di fatto la storia. Una scelta grave, perché i simboli contano, soprattutto in un contesto così carico di simboli come Gerusalemme Est. Se ne è resa conto la stessa direttrice generale dell’ Unesco, la bulgara Irina Bokova, che ha voluto prendere le distanze dal testo della Risoluzione con parole molto ragionevoli. «Nessun posto più di Gerusalemme è spazio condiviso di patrimonio e tradizioni per ebrei, cristiani e musulmani», ha detto Bokova. «La sua eredità è indivisibile e ciascuna delle sue comunità ha diritto al riconoscimento esplicito della propria storia e al rapporto con la città. Negare, nascondere o eliminare qualsiasi delle tradizioni ebraiche, cristiane o musulmane mina l’ integrità del sito e contrasta con le ragioni che hanno giustificato la sua iscrizione nel Patrimonio mondiale dell’ Unesco».

La delegazione italiana, guidata dall’ ambasciatrice Vincenza Lomonaco, avrebbe fatto bene a riflettere su questa presa di posizione della direttrice generale dell’ Unesco, prima di rifugiarsi, quasi per inerzia, in una pilatesca astensione. Perché se è vero che questa Risoluzione è destinata a non avere nessun effetto pratico, i risvolti simbolici non vanno affatto sottovalutati, visto che ci troviamo in un contesto tra i più delicati al mondo, dove i percorsi diplomatici sono sempre irti di drammatiche difficoltà. E quindi anche le astensioni pesano.

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