Davanti a un bivio
tra soluzioni non buone

Ormai siamo proprio abituati al peggio se la sentenza della Corte costituzionale con cui, per la seconda volta, viene dichiarata incostituzionale la legge elettorale dell’organo di rappresentanza politica nazionale viene accolta con nonchalance, se non addirittura con sollievo, perfino da chi l’aveva approvata. Le uniche riflessioni indotte sono, come sempre, sui conseguenti equilibri di potere interni alle forze partitiche, a conferma di un inquietante isolamento autistico. A questa legge elettorale, a differenza del

Porcellum, che già dal soprannome tradiva un certo imbarazzo da parte dello stesso ispiratore, era stato dato un nomignolo fiero, l’Italicum, sul presupposto che avremmo fatto scuola. E va ricordato che su questa legge il Governo aveva impegnato la fiducia. Insomma, nonostante l’enfasi, ossessivamente ribadita, sulla democrazia decidente, la classe politica non assume mai la responsabilità di scelte clamorosamente smentite dagli elettori, con il recente referendum, o addirittura sanzionate per difformità a Costituzione.

Le dimissioni del Presidente Renzi sono un segnale, indebolito però dalla sostanziale identità del nuovo Governo rispetto al precedente e dalla pretesa, da parte del «premier» uscente, di dettare i tempi del Governo Gentiloni. Sembra addirittura si sia accolta la sentenza con malcelata soddisfazione perché mantiene aperta la porta a elezioni immediate. La situazione attuale nasce da un autentico azzardo: quello di approvare una legge elettorale solo per la Camera dei Deputati, sul presupposto arbitrario che la riforma costituzionale del Senato sarebbe giunta felicemente in porto. E certo, pur non conoscendo le motivazioni della sentenza della Corte, l’esito del referendum non ha aiutato a superare le obiezioni di incostituzionalità che gravavano sull’Italicum, perché, con il mantenimento di bicameralismo perfetto e fiducia da parte di entrambe le Camere, la distorsione della rappresentatività della Camera dei Deputati non sarebbe più stata compensata dalla garanzia della stabilità del Governo.

Ma, a prescindere da questo, già sulla base dei criteri contenuti nella sent. 1/2014 sul «porcellum», l’Italicum pencolava spericolatamente sul filo dell’incostituzionalità e non fa onore a una classe politica una tale spregiudicatezza su questioni tanto delicate. E ora ci troviamo a un bivio tra soluzioni comunque non buone: o elezioni con sistemi elettorali differenti, frutto di rabberciamenti vincolati da parte di un organo (la Corte Costituzionale) privo di legittimazione politica; o l’approvazione di una nuova legge elettorale in scadenza di legislatura. Ma anche quest’ultima è un’eventualità non priva di insidie: la Corte di Strasburgo, con sentenza del 2012, ha richiamato gli Stati al codice di buona condotta in materia elettorale, che, tra l’altro, raccomanda la stabilità della legge elettorale nel periodo immediatamente precedente il voto. Sconforta che, ancora oggi, per le forze politiche le regole, costituzionali e non solo, siano un malcelato fastidio o, all’occorrenza, un arnese da maneggiare strumentalmente.

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