Cronache e ossimori
di un Paese «Normale»

Un Paese, il nostro, che non riesce ad essere normale. L’arrivo al Quirinale di un uomo politico di elevata statura intellettuale e di sicuro calibro morale finisce per rappresentare una rara eccezione.

Fiaccato dalle batoste che arrivano dalle cronache quotidiane, sbiadisce fino a impallidire il ricordo del sentimento di unità nazionale che era seguito all’elezione di Mattarella. I guasti del sistema incalzano e, come un tritacarne, frantumano certezze e speranze: il presidente della Corte dei Conti denuncia la dimensione e il dilagare della corruzione e della illegalità nelle istituzioni; nel mentre, il dibattito in Parlamento sulla riforma costituzionale finisce in risse degne dei più scalcinati saloon del far West. In questo contesto già poco edificante si inseriscono di continuo avvenimenti che confermano la tendenza ad una sorta di «perdita di senso» che riguarda tanto il tessuto civile del Paese, quanto la qualità dei suoi governanti.

Tre recentissimi episodi, di matrice e spessore diverso, ne danno conferma. Il più grave chiama direttamente in causa il Governo e le sue scelte politiche. La tragedia consumatasi a largo di Lampedusa, con il suo immane carico di morti, fa riflettere sulla decisione di aver chiuso il programma «mare nostrum» in base al quale le navi delle Marina militare erano chiamate a presidiare le acque internazionali nelle zone nelle quali di svolge la tratta dei migranti tra le coste africane e l’Italia. Essersi ritirati entro le acque territoriali ha, infatti, impedito di capire per tempo quale tragedia si stesse consumando al largo della Sicilia. Non esiste la prova contraria, ma è presumibile che un pattugliamento territorialmente più esteso avrebbe potuto evitare la tragedia o contenerla in dimensioni meno gravi.

Dal Governo al Parlamento: o meglio alla Giunta per le autorizzazioni procedere del Senato, la quale ha negato l’autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Calderoli, per le parole da lui pronunciate nei confronti dell’allora ministro Cécile Kienge. Offese tremende e gratuite che sono state ritenute legittime, perché espresse nell’esercizio del mandato parlamentare. In tal modo i componenti la giunta non si sono resi nemmeno conto gettarsi la zappa sui piedi, poiché dichiarare libera e non censurabile opinione politica l’aver definita orango una componente del governo infanga proprio il Parlamento. Chi vive e opera nel «palazzo» dovrebbe se non altro avere l’intelligenza di capire che tali scelte alimentano i sentimenti di antipolitica che agitano il paese e producono un distacco sempre più marcato tra istituzioni e cittadini. Nulla più della vera (o presunta) intoccabilità dei parlamentari urta un’opinione pubblica già incline a ritenere che tutti coloro che fanno politica siano una casta che si difende ad ogni costo e in ogni circostanza.

Non meno significative le dichiarazioni fatte da due esponenti del dorato mondo dello sport più amato dagli italiani. Antonio Conte ha ritenuto del tutto ininfluente - rispetto al suo ruolo di ct della Nazionale – l’essere accusato di frode sportiva. Sembra non avvertire che le due parole «frode» e «sportiva» sono antitetiche, essendo una sorta di ossimoro. Chi froda non è sportivo, perché lo sport si fonda sulla lealtà e sull’onestà. Ma il nostro ct ha la pelle dura e non si dimetterà probabilmente nemmeno di fronte a una condanna. Un altro personaggio del calcio, Claudio Lotito – noto alle platee dei tifosi per le sue sgangherate affermazioni su tutto e su tutti – il quale ha sostenuto che le squadre del Carpi e del Frosinone non dovrebbero andare in serie A. Frasi indecenti che sconfinano nell’avvertimento. Sembra quasi di sentire: «facciamo qualcosa prima che ciò accada». Alla faccia della sportività e dell’onestà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA