Le donne di Camilleri
sfumano nell’evanescenza

«Donna, mistero senza fine bello». Mistero che nessun Montalbano potrà svelare mai, anche se il suo creatore, Andrea Camilleri, sfodera una galleria di trentanove «Donne», rimaste, a vario titolo, impresse nella sua memoria. Memoria, spesso, poco affidabile.

«Donna, mistero senza fine bello». Mistero che nessun Montalbano potrà svelare mai, anche se il suo creatore, Andrea Camilleri, sfodera una galleria di trentanove «Donne», rimaste, a vario titolo, impresse nella sua memoria. Memoria, spesso, poco affidabile: «Gli incontri personali sono così lontani nel tempo che non potrei giurare siano realmente accaduti…». Si sente, in più casi. Velleitario provarsi a tracciare confini. Almeno in un caso, tradiscono anche i ricordi di lettura, se il Medoro del «Furioso», da fante, è diventato «pastore». Donne, a proposito, in rigoroso ordine alfabetico, dall’Angelica ariostea alla Zina proto-badante dell’Est, incontrata per caso sul traghetto Napoli-Palermo. Donne non solo in carne e ossa, ma anche di carta, di celluloide, da palcoscenico. Donne conosciute di persona, o create dalla letteratura, o esistite nella storia, o «di cui m’hanno raccontato». Storie, quelle personali, spesso poco credibili, estreme, che hanno il sapore del teorema, o del compiacimento, di fantasia. Desideria che non sa desiderare alcunché, salvo, fortissimamente, un figlio: morirà di parto. Carla che piange e non se ne accorge, quasi si butta sotto una macchina perché glien’è venuta voglia. Le donne della letteratura, cinema, teatro, sono interpretate molto alla Camilleri, un po’ con il gusto di sorprendere il lettore, sovvertire luoghi comuni e idee ricevute. Anche con tesi plausibili. L’amore di Dante per Beatrice è un «vizio solitario». L’Otello non è tragedia della gelosia, ma, e qui la lettura è più interessante, della passività rassegnata, masochistica, di Desdemona, consapevole di aver tradito, sposando il moro, la sua società e famiglia. Il linguaggio, di conserva, è marcatamente attualizzante e informale, se non dissacrante. Paride, nell’«Elena» euripidea, è un «piccolo guappo», il simulacro della donna una «sexy bambola», Menelao un «greco straccione». Spesso i ritratti risultano un po’ evanescenti, le conclusioni strategicamente sbrigative. Con nitide eccezioni. Due, curiosamente, incorniciate dallo stesso nome: Elvira, la nonna che parla con gli oggetti. E l’editore Elvira Sellerio, che, di slancio, si offre di prestare al Camilleri pre-Montalbano settecento milioni. Che, naturalmente, non ha: «Poi, per fortuna mia, di Elvira e della casa editrice, si profilò all’orizzonte la sagoma del commissario».

Vincenzo Guercio

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