Se Telgate ha paura dell’Ebola

L’hanno chiamata «ordinanza anti Ebola», tanto per non generare allarmismi. È stata emessa a Telgate, non in una capitale africana.

E Telgate non è un paese qualsiasi: almeno un quarto dei suoi 5 mila abitanti sono di origine straniera, un record che è valso la segnalazione anche sui mass media nazionali. Record tanto più significativo in un comune da anni a governo leghista. È la prima ordinanza di questo tipo in Lombardia e ricalca (alcuni passaggi sono stati ripresi con un semplice «copia e incolla», come si può facilmente verificare ) quella adottata recentemente a Padova da un’altra amministrazione a guida Carroccio.

Prevede una serie di provvedimenti, come il divieto di dimora anche occasionale a Telgate (o a Padova…) per chi non ha un regolare documento di identità e il certificato dell’Asl che attesti le condizioni di salute, l’obbligo di sottoporsi entro tre giorni a visita medica per chi è privo di permesso di soggiorno o tessera sanitaria con lo scopo di verificare «l’eventuale presenza di malattie infettive, quali ad esempio la tubercolosi, l’ebola, la scabbia e l’epatite». Quest’ultimo passaggio mette in un unico calderone patologie diverse per gravità e possibilità di trasmissione. Ma il nome che allarma in questi tempi è «Ebola»: non a caso dà nome all’ordinanza.

Nel motivarla, il sindaco Fabrizio Sala parla di «attività preventiva per tutelare la salute pubblica dei cittadini di Telgate e la sicurezza urbana». Il segretario provinciale della Lega Daniele Belotti annuncia l’intenzione di estendere il provvedimento agli altri comuni a guida Carroccio, ma il coordinatore dei sindaci leghisti, Giovanni Malanchini, evidenzia che non si tratta di una priorità e che gli altri 50 sindaci leghisti «non ne hanno evidenziato l’urgenza e la necessità. Vanno però valutate le singole realtà». Telgate insomma sarebbe un caso a sé.

Ma ecco, si tratterebbe davvero di «valutare la realtà», magari a cominciare dai dati scientifici, sempre che interessino agli amministratori lumbard che non siano inclini alla demagogia e al soffiare sul fuoco degli allarmi. Belotti chiama in causa il primo caso di Ebola in Italia e la sospensione della Coppa d’Africa in Marocco per evitare i rischi di contagi. Ma non ci risulta che Telgate appartenga a una provincia maghrebina. E il primo caso di virus nel nostro Paese è citato a sproposito: ha colpito un medico che lavorava in Sierra Leone per Emergency. Un italiano sanissimo, non un clandestino africano. Perché Ebola non è ovunque nemmeno nel continente nero, ma circoscritta in tre Paesi: Sierra Leone appunto, Guinea e Liberia. Inoltre il virus non si trasmette per via aerea ma per contatto di fluidi. Già nell’agosto scorso il nostro ministero della Salute era dovuto intervenire per rompere la pericolosa equazione fra immigrazione ed Ebola, dopo che su Facebook si era diffusa la falsa notizia di infezioni a Lampedusa.

In quell’occasione il ministero ha ricordato che tutti i migranti che sbarcano sulle coste italiane sono già sottoposti a rigidi controlli sanitari. E gli infettivologi hanno evidenziato come quei migranti non costituiscono un pericolo: Ebola ha un’incubazione breve, in media tra i quattro e i dieci giorni, mentre quelle persone sono in viaggio da settimane se non da mesi. Nessun mercante di migranti li farebbe avvicinare se solo intravedesse il segno di una malattia.

Ma di questi tempi appellarsi alla razionalità scientifica e alla realtà vale a poco. L’ordinanza anti Ebola potrà portare qualche voto in più, ma chi governa dovrebbe preoccuparsi anche dei danni sociali provocati dagli allarmismi. Tanto più quando c’è in gioco la salute.

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