Ai Riuniti c’è un silenzio irreale
Apparecchiature in India e Malawi

Agli Ospedali Riuniti il silenzio è quasi surreale, approdando nella piazza con la fontana che meno di due anni fa era il punto di incontro di degenti che potevano uscire dalla loro stanza per prendere un po’ di sole. Intanto le apparecchiature finiscono in Malawi e in India.

Agli Ospedali Riuniti il silenzio è quasi surreale, approdando nella piazza con la fontana che meno di due anni fa era il punto di incontro di degenti che potevano uscire dalla loro stanza per prendere un po’ di sole, di utenti che andavano a farsi visitare, di parenti che andavano a trovare i loro cari ricoverati.

È come fare un tuffo in una fotografia d’epoca, entrare nei padiglioni svuotati di Largo Barozzi: le porte d’ingresso a Gastroenterologia, a Medicina, a Pediatria sono chiuse da pesanti catene e altrettanto grossi lucchetti.

Gli addetti alla vigilanza - «siamo quattro o cinque per turno, ventiquattro ore su ventiquattro, oltre al sistema d’allarme collegato alla centrale per i punti sensibili della struttura, come la Casa Rossa», spiega una guardia - aprono i portoni quando arrivano gli addetti amministrativi dell’Azienda ospedaliera accompagnati dai volontari che devono scegliere i letti, i tavoli operatori, gli ecografi, da portare nei presidi ospedalieri e nelle missioni in Africa, in Asia, in America Latina. In Malawi finiscono le sale operatorie, il rame in India.

I segni dell’abbandono, negli stanzoni ci sono tutti, sembra che il tempo voglia segnare fisicamente su muri e oggetti il trascorrere delle ore, dei giorni, dei mesi, da quel dicembre 2012 quando i primi pazienti vennero trasferiti dal «cuore» della città nell’avveniristico Papa Giovanni XXIII alla Trucca. Ci sono telefoni staccati e poggiati per terra, sedie e sgabelli impilati, tavoli e tavolini accatastati. I muri tengono, le finestre anche, per il momento. Nono si vedono tracce di bivacchi.

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