Il presidente di Sacbo, Radici:
Nessuno potrà imporci delle scelte

di Dino Nikpalj

Generazione Ryanair. Quella abituata a prendere il volo, a scoprire (e studiare) l'Europa grazie ai low cost di mister Michael O'Leary «che hanno permesso a migliaia di bergamaschi di viaggiare».

di Dino Nikpalj

Generazione Ryanair. Quella abituata a prendere il volo, a scoprire (e studiare) l'Europa grazie ai low cost di mister Michael O'Leary «che hanno permesso a migliaia di bergamaschi di viaggiare». Miro Radici è alla guida dell'aeroporto da un anno, e tanto gli è bastato per capire l'antifona: «Oh, questi di Ryanair sono davvero bravi» spiega agli studenti della facoltà d'Ingegneria di Dalmine, e al preside vicario Lucio Cassia, in un nuovo appuntamento dei focus su «imprenditorialità e competitività al tempo del cambiamento».

Gli irlandesi volanti: così bravi da fare il vuoto nel mercato e dominare per tre quarti quello di Orio al Serio. «Ma la nostra è una partnership, un rapporto paritario, non di dipendenza. Del resto un'efficienza come la nostra non la trovano in altri scali», spiega il presidente Sacbo. Do ut des, insomma. Ma c'è comunque poco da dormire sugli allori, perché fuori il mercato è feroce. Prova ne è la recente questione Dhl e qualche tensione con Sea. Radici spiega che «portare via i clienti a Bergamo non è facile...». E gli scappa un mezzo ghigno quando ammette che, quando capita, «mi inc...o proprio».

Le scintille con il socio Sea
Ma Dhl alla fine è rimasta ad Orio, e per Milano è un segnale forte e chiaro. Anche se ci scappa un mezzo tentativo di smussare gli angoli con Sea: «Per ora non ci sono problemi sostanziali, i loro consiglieri sono collaborativi». Stabilito questo, «Loro hanno il 30 per cento e noi il 70: normale che chi abbia più azioni comandi e chi meno controlli...». Piccolo avviso ai naviganti in vista dell'approvazione del bilancio di domani.

La cosa davvero corroborante è l'interesse degli studenti: i loro interventi sono curiosi, stimolanti, precisi e soprattutto informati. Con tanti saluti al ministro Elsa Fornero e a qualche suo giudizio decisamente superficiale. Una gran bella generazione che ricorda molto la frase di Tancredi Bianchi: «I piedi nel borgo, la testa nel mondo». Che guarda con interesse ad un imprenditore che parla di innovazione: bergamasco nel Dna, dai toni low profile, ma concreto come pochi. Che per l'occasione cita anche Proust e Calvino e invita i ragazzi a «cercare il senso del bello». Anche nella gestione delle cose: «Preparatevi a 360 gradi, la cultura vi aiuterà a capire anche se c'è qualcosa di non armonico in un'organizzazione».

Made in Bergamo
Certo, non c'è l'appeal visionario dello Steve Jobs di «stay hungry, stay foolish», ma nel tono spiccio e a tratti sbrigativo di Radici c'è molto di un certo qual made in Bergamo che ha fatto la fortuna di questa terra, e del quale l'aeroporto è una delle facce meglio riuscite. «Uno dei nostri attuali punti di forza insieme all'ospedale, vecchio e nuovo, e all'Università», rileva Cassia. Un'orgogliosa bergamaschità che è tutto tranne chiusura, ma che si può riassumere in una parola: responsabilità. Lo si capisce bene quando dagli studenti arriva una domanda sul futuro della presenza pubblica in Sacbo, tanto attuale quanto drammatica visti i chiari di luna dei conti pubblici e i lupi dei Fondi d'investimento fuori dalla porta. «Nessuno dei soci pubblici è intenzionato a mettere sul mercato quote Sacbo...» rassicura.
A Milano, però, il Comune l'ha fatto con quelle di Sea. Il rilievo è lì, sembra aleggiare in aula, ma Radici gioca d'anticipo: «Vedete, per noi bergamaschi questa non è una partecipazione normale, ma speciale: una parte del territorio». E soprattutto «a Bergamo la responsabilità di queste cose è sentita in modo diverso: quando ci danno un ruolo, noi ci crediamo proprio».

Tra alleanze e trattative
Al punto da voler giocare sul tavolo delle alleanze senza arrivarci con complessi d'inferiorità o il cappello in mano. «Chiaro che un network tra gli scali del Nord vorrebbe dire 60/70 milioni di passeggeri, con sinergie di mercato e la creazione di un valore enorme. Ma allo stato delle cose, è molto difficile».

Quindi si tratta, «a 360 gradi». Con un punto di partenza: «Non vogliamo essere colonizzati». Forti anche «di una solidità economica che ci mette in una condizione di assoluto privilegio, a differenza di altri scali. Nessuno potrà quindi imporci scelte che non vadano a vantaggio del territorio».
Quel territorio che però vive lo scalo anche come una presenza invasiva. Radici non lo nega: «Il problema non è facilmente risolvibile, nonostante c'è chi la faccia semplice ipotizzando di allungare o ruotare la pista, come leggo ogni tanto... Credetemi, se fosse un problema di carattere economico, non sarebbe un problema. Comunque ci stiamo muovendo in ogni direzione, a piccoli passi, e ogni rilevazione dimostra che qualcosina migliora».

Cambiamento e globalizzazione
Ma è tutto un divenire, «dobbiamo essere in continuo movimento» spiega. E pronti al cambiamento. Tanto più in un mondo dove la globalizzazione ha cambiato – e tanto – le regole del gioco. E aumentato i timori di chi, come gli studenti, vi si sta per affacciare. Radici non nega le difficoltà (forte anche di un suo pessimismo di maniera che però, assicura, gli serve per spronarlo di più...) ma ricorda alla platea come «le possibilità di muoversi che avete ora siano molto superiori a quelle che aveva la mia generazione».

Ma non è un invito alla fuga, quanto a raccogliere il meglio che c'è per metterlo a frutto qui: «Abbiamo la cultura, la creatività, l'intelligenza, e le abbiamo noi». E anche la capacità di saper scommettere e volare in alto: Orio docet. Del resto, parafrasando Luis Sepulveda, vola solo chi osa farlo.

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