Donne sfruttate nella Bergamasca
Due su tre costrette ad abortire

La morte di Vivian Alke e le circostanze drammatiche che l’hanno provocata hanno acceso i riflettori anche sulla condizione di sfruttamento di molte giovani come lei, costrette dal racket a prostituirsi sulle strade della nostra provincia anche quando sono incinte, e spesso indotte ad abortire.

«Purtroppo - spiega Paolo Cattaneo, presidente dell’associazione Melarancia onlus che da anni nella Bergamasca si occupa delle donne sfruttate - sono frequenti i casi di donne che vengono costrette a prostituirsi anche quando sono incinte: per chi le sfrutta non fa alcuna differenza».

Molte volte lo sfruttatore le spinge anche a interrompere la gravidanza: «Sono molti - prosegue Cattaneo - anche gli episodi che vedono queste donne vengono costrette o convinte a interrompere la gravidanza: si può stimare che in circa due casi di gravidanza su tre si arrivi all’aborto. Nell’ambito della nostra attività cerchiamo sempre di informare le ragazze che possono anche far nascere il bambino e poi decidere di lasciarlo in ospedale nel massimo anonimato».

Gli operatori dell’associazione Melarancia durante la settimana scendono in strada più volte e avvicinano le prostitute con l’obiettivo di fornire un aiuto, nelle prime fasi soprattutto in ambito sanitario per la tutela della loro salute, e poi di stabilire con naturalezza un dialogo con le donne che se la sentono di aprirsi.

Tra le vittime della tratta spesso c’è molta paura a esporsi: si temono ritorsioni violente da parte degli sfruttatori, e a volte addirittura si ha paura di essere perseguitati da entità soprannaturali legate a rituali magici. Negli ultimi anni infatti alcune inchieste della magistratura hanno messo in evidenza che le donne provenienti dai Paesi africani, dove sono molto radicate certe tradizioni, vengono soggiogate con la minaccia di far accadere disgrazie a loro e ai familiari attraverso riti «voodoo».

Gli operatori dunque si avvicinano con prudenza, nella consapevolezza di dover superare tante barriere: «Ci avviciniamo sempre con la massima cautela - spiega Cattaneo - e mai con l’approccio di chi vuole indagare a tutti i costi: le ragazze sono libere di confidarsi oppure di non farlo».

Secondo gli operatori di Melarancia, nella nostra provincia non sono molte le donne della Sierra Leone che si prostituiscono: «Le donne di colore - prosegue Paolo Cattaneo - arrivano quasi tutte dalla Nigeria, mentre sono rari, e a volte frutto di un’identità non vera, i casi di ragazze che arrivano dalla Sierra Leone. Tutte queste ragazze hanno in comune il problema che sono sfruttate con il pretesto che devono saldare un debito economico contratto con coloro che le hanno portate in Italia. Tante di loro, per saldare il più velocemente possibile questo debito e uscire dal giro, accettano anche di non utilizzare protezioni con i clienti che lo chiedono: questo permette loro di guadagnare più soldi e più in fretta, ma le espone a pericoli notevoli».

Il debito che le ragazze devono pagare agli sfruttatori non è altro che la spesa sostenuta per il trasporto in Italia, ma finisce quasi sempre per diventare un’arma che gli sfruttatori usano per tenere in pugno le ragazze: «Facendo leva sul cambio tra la valuta locale e l’euro - conclude Cattaneo - gli sfruttatori possono arrivare anche a pretendere cifre di 30-40 mila euro, di molto superiori a quella stabilita al momento della partenza. Con stratagemmi come questo le ragazze vengono costrette a lavorare lunghi periodi per saldare un debito enorme».

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