Percassi: «Il mio giorno più bello, ma questa Atalanta ci regalerà altre gioie»

IL PRESIDENTE. Antonio Percassi: «Notte insonne. E intanto mi dicevo: se il Liverpool è forte e l’abbiamo battuto così, allora siamo forti anche noi...»

«Il mio primo pensiero al risveglio dopo Atalanta-Liverpool? Glielo potrei raccontare se avessi dormito». Il presidente dell’Atalanta Antonio Percassi, in una vita da imprenditore su scala mondiale, si è abituato a smaltire ogni sorta di jet lag. Ma l’adrenalina del post partita, quella no: «Sto facendo rinviare appuntamenti di lavoro in continuazione, la testa è rapita dal calcio... Qualcuno si preoccupa e chiede alle mie segretarie se sono malato. In fondo è proprio così: sono malato di Atalanta».

Presidente, ci racconti la sua nottata.

«Un disastro, ogni quarto d’ora mi chiedevo se fosse tutto vero. Non vedevo l’ora che arrivasse l’alba. Ho trascorso la notte parlando di Atalanta con mio figlio Michael, di 11 anni, che infatti poi questa mattina non è andato a scuola. Mi sono scusato con la maestra, le porterò un mazzo di fiori».

E lei, sul lavoro?

«Ho fatto il minimo indispensabile, ma la testa è da un’altra parte, 80% Atalanta, 20% lavoro. E anche nelle telefonate di lavoro si finisce per parlare di Atalanta».

È il suo giorno più bello da presidente?

«Sì. Senza dubbio. Avevamo già fatto una cosa meravigliosa all’andata, in Inghilterra. E abbiamo chiuso il discorso qui, davanti al nostro pubblico meraviglioso. E

adesso mi dico: se il Liverpool è una delle squadre più forti del mondo e l’Atalanta l’ha battuto in questo modo... Beh, allora vuol dire che è forte anche l’Atalanta no? Grazie a partite come quelle col Liverpool ci stiamo assestando nel panorama del grande calcio internazionale. Per il resto cosa devo dire? Speriamo di salvarci...».

Per Bergamo sarebbe stata una festa comunque, ma il fatto che sia arrivato anche il risultato è un premio alla maturità e alla passione di questa città.

«Mai vista una cosa così. Uno spettacolo davvero. Tifoseria straordinaria. Emozionante. A Liverpool in duemila avevano ammutolito 60 mila inglesi, qui sembravano il doppio dei 15 mila che erano. Anche dopo il loro gol. Un apporto straordinario, che percepisci già da spettatore, figuriamoci da giocatore».

Passione e maturità vogliono dire anche senso della storia: l’omaggio commovente della Curva a Glenn Stromberg è arrivato da gente che per la maggior parte non era nemmeno nata quando lo svedese ha smesso di giocare nel 1992.

«Glenn è arrivato da me che piangeva. Era scioccato dallo spettacolo, dallo stadio, dalla squadra. Ma è lui che ha scioccato noi: lui, un grande, un pezzo di storia dell’Atalanta, un simbolo sia come uomo che come atleta, che viene a farci i complimenti».

E lei cosa gli ha detto?

«Hai visto? Sei un grande, ma ci siamo salvati anche senza di te».

Come Stromberg anni fa, anche se ovviamente in contesti diversi, anche Stephen Pagliuca sta diventando un bergamasco acquisito. Per esserci, ad Anfield come al Gewiss Stadium, ha fatto le acrobazie fra aeroporti, stadi e impegni di lavoro. Per l’azionista americano l’Atalanta comincia a essere anche un affare di cuore?

«Credo che oltre che dei Boston Celtics di basket, Steve si stia ormai innamorando anche dell’Atalanta. Soprattutto, sta capendo il profondo legame che c’è fra la squadra e la città. Anche perché lui è mosso da una continua curiosità di conoscere, di capire. A Boston nello sport esistono solo i Celtics, che quest’anno fra l’altro stanno andando molto bene. Ma visto che anche l’Atalanta sta andando discretamente (non trattiene un sorriso compiaciuto, ndr) gli ho detto di venire più spesso. Anche perché quando viene lui facciamo sempre delle ottime partite e vinciamo. Quest’anno 5 su 5. Perché anche questa sconfitta con il Liverpool è una vittoria».

Parliamo di calcio. Con il Liverpool è stato un capolavoro in due atti. Atto primo: ad Anfield una lezione di calcio fatta di pressing, gol e giocate spettacolari. Atto secondo: la gara di ritorno è stata un capolavoro di gestione, pragmatismo tattico e solidità mentale dopo un inizio da brivido che poteva mandare tutto a monte.

«All’andata noi abbiamo fatto tre gol e ne abbiamo sbagliati un paio, ma anche loro due o tre potevano farli. Giovedì è stata una partita diversa, in cui noi dovevamo puntare a non prendere tre gol. E quando dopo soli 7’ dall’inizio vai sotto su rigore, ti viene il mal di pancia. Invece la squadra l’ha gestita perfettamente. E con l’occasione di Miranchuk e quel gol annullato per un niente a Koopmeiners, forse la potevamo pure pareggiare. Ogni giocatore è stato attento e determinato, davvero una grande prova di squadra. Contro dei grandi giocatori guidati da un allenatore considerato fra i più forti del mondo».

Che a Bergamo ha vissuto la sua ultima ribalta europea (salvo ripensamenti) uscendo dal campo con un reciproco omaggio fra lui e la Curva Pisani.

«Il Liverpool ha mostrato di essere una squadra e una società di grandissimo stile. Loro, eliminati da noi, sono venuti a salutarci con una spontaneità e un calore incredibili. Klopp è venuto da me, mi ha fatto i complimenti, ha elogiato il valore dell’Atalanta. E alla fine si è tolto il suo ormai famosissimo cappellino e l’ha regalato a mio figlio di 11 anni. E lo stesso sono sicuro che avrebbero fatto, lui e tutti i suoi, anche se avessero vinto. Stile, educazione e rispetto reciproco hanno fatto di questa serata una pagina di calcio stupenda. Un modello educativo dal punto di vista del comportamento di squadre, società e tifoserie».

A proposito. Magari non facciamolo diventare un alibi, ma nel caso in cui a fine stagione doveste rimanere a mani vuote, quell’omaggio finale tributato da 50 mila tifosi avversari nello stadio di una delle società più titolate del mondo può valere un trofeo?

«Il comportamento dei tifosi inglesi, come quello della società, ha impreziosito quella che comunque per noi sarebbe stata una vittoria storica. Questo è il calcio vero. Un bambino che vive un’esperienza così allo stadio si appassiona per forza. Ed è quello che vogliamo succeda anche da noi, adesso che stiamo completando la Curva Sud. Io ci vado quasi tutti i giorni, e prima della partita con il Liverpool ho visto il lavoro di preparazione dei nostri tifosi. Posso dirla una cosa?».

Prego.

«Questi amano davvero l’Atalanta. Straordinari? Di più. Dietro una coreografia ci sono ore di lavoro. E quante ragazze».

Una società che investe; un allenatore come Gian Piero Gasperini, che mette nel sacco due volte uno dei tecnici più quotati del mondo; giocatori che fanno la loro parte alla perfezione garantendo rotazioni adeguate. Questa Atalanta sembra una macchina perfetta.

«Noi nelle due partite contro il Liverpool volevamo arrivare a valutare il nostro livello. Siamo partiti con l’unico obiettivo di non fare brutta figura. Era una prova d’esame, l’abbiamo superata. Oggi a livello internazionale siamo molto conosciuti, Ma adesso non dobbiamo tornare indietro. Anzi, da qui possiamo crescere ancora di più. Come risultati e come comportamenti. Dobbiamo rappresentare un modello educativo, nonostante siamo una provinciale. Anzi, proprio perché siamo una provinciale, cosa che rende tutto questo ancora più bello Però questo momento non nasce dal nulla, è il frutto del lavoro di anni, a tutti i livelli. Società, squadra, allenatore, soprattutto tutti coloro che ogni giorno lavorano pesantemente a Zingonia stando sempre nell’ombra. Dovreste venire al Centro Bortolotti in un giorno di attività piena, dalla prima squadra al settore giovanile. Un formicaio che brulica di lavoro. Persone d’oro a tutti i livelli. Speriamo che tutto questo poi produca risultati, perché il calcio non è mai una cosa sicura».

E proprio perché il calcio non è una cosa sicura meglio restare in corsa il più possibile su tre fronti. Da una parte o dall’altra qualcosa arriverà, e poi i punti li sta perdendo anche chi ha un solo obiettivo (Inter, Milan, Juventus, Bologna). Tra l’altro, poi, questa Atalanta in Europa non ha mai avuto quei cali di tensione che sono costati invece qualche punto di troppo in campionato.

«Il nostro è un campionato strano, difficile, in cui tutti competono per un obiettivo. Chi deve salvarsi corre come un matto e lo sappiamo bene: ci siamo trovati anche noi in quelle situazioni, quando salvarsi all’ultima giornata è il tuo scudetto. Rispetto ad allora abbiamo fatto passi da gigante. Ma vogliamo crescere ancora. Ed è soprattutto grazie all’Europa che i giocatori stanno migliorando sempre di più. Perché questi tornei sono un’altra cosa rispetto al campionato. Trovi squadre più forti, più preparate, e ogni partita è una lezione».

Questa Atalanta negli ultimi anni ha riscritto la storia sotto tutti gli aspetti. Eppure ancora non era arrivato il picco più alto, quella semifinale europea raggiunta finora solo nel 1988. Al di là delle diversità fra le due epoche (oggi è tutto molto più difficile per una provinciale), era un traguardo che vi mancava?

«Sì. Tra di noi sì. Ma sapevamo anche che non era una cosa facile da realizzare nel calcio di oggi. Ora siamo in una situazione in cui possiamo dire la nostra anche nel prossimo turno. Saranno due belle partite anche con il Marsiglia. Dove vincerà il migliore. O magari il più fortunato, chissà».

È chiaro comunque che dopo aver battuto il Liverpool guardare in alto in Europa League diventa quasi un dovere...

«Quando al sorteggio è uscito il Liverpool speravamo solo di prenderne il meno possibile, ed è andata come abbiamo visto. Adesso vediamo cosa succede».

Domenica torna il campionato e andate a Monza. L’entusiasmo post Liverpool è più uno stimolo o un pericolo?

«Un pericolo.Il Monza è squadra tosta, interessante, allenata bene e gioca una volta a settimana senza assilli di classifica. Quando invece, come noi, giochi ogni tre giorni, di energie per strada ne lasci, sia a livello mentale che fisico».

E l’anno prossimo sarà anche peggio: sia la Champions, sia l’Europa League saranno molto più impegnative per la nuova formula. Quasi un campionato aggiuntivo. Ci state ragionando a livello di strategie?

«Vediamo dove finiamo, ma le strategie per il futuro le abbiamo pronte. Qualunque sia il futuro, non ci faremo trovare impreparati».

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