Le proteste in Georgia sognando l’Europa

MONDO. Il «Sogno georgiano» non è più «europeo». Il partito di maggioranza ha definitivamente fatto approvare con la forza dei numeri la cosiddetta «legge russa» dal Parlamento nazionale.

A nulla sono valse le manifestazioni nelle piazze. Nella capitale Tbilisi e in altre città del Paese caucasico migliaia di persone sono scese a protestare e gli scontri con la polizia non si sono contati. Già nel marzo 2023 «Sogno georgiano» - il cui vero leader è un oligarca che ha fatto il gruzzolo in Russia negli anni Novanta - ci aveva provato presentando il progetto di legge degli «agenti stranieri». In pratica le organizzazioni, che ottengono finanziamenti superiori al 20% dall’estero, si devono iscrivere ad un registro speciale chiamato degli «agenti stranieri». Avere un’etichetta del genere, per di più in una Repubblica ex sovietica, è un tale marchio negativo, inaccettabile per chiunque. Inoltre il precedente russo fa paura. Nel 2012 la Duma federale approvò quella legge all’apparenza non troppo invasiva e di carattere amministrativo. Ed invece i successivi giri di vite a Mosca hanno tolto ossigeno alle organizzazioni non governative e alla società civile.

Nel marzo 2023 - pochi mesi dopo l’inizio dell’«Operazione speciale» di Putin in Ucraina - i tempi non erano maturi. «Sogno georgiano» fu pertanto costretto a ritirare il suo progetto di legge divisivo sotto il peso delle proteste di piazza. Questa volta, al contrario, ha tirato dritto per la sua strada. Varie sono le ragioni di questa clamorosa svolta sia di carattere interno che internazionale. La prima, forse la principale, è che il 26 ottobre di quest’anno sono previste le elezioni parlamentari e la tradizionale frammentata arena politica nazionale potrebbe determinare delle sorprese per la prima volta dal 2012, quando «Sogno georgiano» vinse le legislative. In breve, il potere a Tbilisi potrebbe passare di mano.

La seconda è che negli ultimi mesi le pressioni russe nello spazio ex sovietico sono aumentate quasi come se vi sia un tentativo in corso di recuperare con la politica il controllo degli Stati un tempo vassalli. Analoghe leggi di «agenti stranieri» sono state approvate di recente nell’Asia centrale ex sovietica senza troppo clamore. In Georgia è andata diversamente. E non poteva che essere così. Fin dal 1989 l’ortodossa Georgia - per due secoli fedele alleata della Russia - si è allontanata dal Cremlino. Dopo una breve e sanguinosa guerra civile - tra il 1991 e il 1993, due regioni (Ossezia del Sud e Abkhazia) si sono staccate da Tbilisi, godendo dell’appoggio di Mosca. Georgiani e russi sono poi arrivati a combattersi in un breve conflitto armato nell’agosto 2008. Negli ultimi tempi le relazioni tra i due Paesi ortodossi sono migliorate, ma non troppo.

Che il Paese caucasico sia oggi un luogo di scontro tra Russia e Occidente non è sorprendente. All’interno dello spazio ex sovietico - a parte i baltici fuggiti a gambe levate dall’impero nell’agosto 1991 - furono ucraini, georgiani e moldavi ad essere una delle cause della dissoluzione dell’Urss, voluta - non lo si dimentichi mai in tempi di falsificazioni di ogni genere - dai democratici russi di Boris Eltsin.

La Georgia, come l’Ucraina e la Moldova, ha firmato il Patto di associazione con l’Unione europea. L’80% della popolazione chiede l’integrazione con l’Ue e non disdegna troppo (anche se non viene detto) l’abbraccio con la Nato. Negli ultimi due anni l’avvicinamento all’Occidente è stato costante. La lezione di Tbilisi è che quando si avvicinano le elezioni bisogna stare in guardia. Gli europei sono avvertiti.

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